Leonora Carrington e Frida Kahlo hanno dipinto rappresentando volutamente un tipo di realtà non oggettiva e hanno trasformato la loro sofferenza e la loro vita in arte. Nelle loro opere l’esperienza del dolore, della malattia e del loro “essere al mondo”, viene estetizzata attraverso l’azione della pittura che per le due artiste è una esigenza ed una “strategia” per “sopravvivere” alle avversità della vita. Nel dipinto Il Cervo Ferito del 1946, Frida Kahlo rappresenta l’esperienza della malattia e del dolore fisico cronico che l’ha tormentata per tutta la vita, un dolore dal quale ella sapeva di non potere fuggire e di cui è stata vittima innocente. Il cerbiatto è infatti la figura umanizzata della stessa Frida:
A questo punto è chiaro che la psicoanalisi diventa necessaria per comprendere il significato dei simboli di questi dipinti, poiché scaturiscono direttamente dall’inconscio e dal mondo onirico.
Secondo Jung infatti:
La profusione di simboli animali nelle religioni e nelle arti di tutti i tempi, dimostra fino a che punto sia importante per l’uomo integrare nella sua vita il contenuto psichico del simbolo stesso, cioè l’istinto.
Per Jung la componente animale rappresenta la Psyche umana ed è una esternazione simbolica di parti nascoste della natura inconscia dell’uomo. Si può anche considerare che le immagini umanizzate di animali siano per le artiste una sorta di alter- ego attraverso cui possono ritrovare la libertà (immaginaria e interiore) poichè si sentono costrette in una vita piena di sofferenze.
Mentre Frida si autorappresenta come cerbiatto, Leonora si rappresenta come Cavallo in Femme et Oiseau del 1937. In questo caso il cavallo alter- ego di Leonora denota trasgressività ed istintività (anche creativa) nonché rifiuto verso il contesto delle norme sociali e impulsi di natura passionale. L’artista infatti aveva trascorso da ragazza, un lungo periodo in manicomio, proprio a causa della repressione familiare in cui era cresciuta e da cui, una volta adulta, volle fuggire per sempre. (Fig.A)
Il cavallo, così come il cerbiatto, sono “i corpi immaginari” attraverso i quali le due artiste danno vita al loro “viaggio introspettivo nella dimensione onirica” poiché tramite la “metamorfosi” le autrici ricercano un processo che in ambito psicoanalitico viene definito autoaffermazione del sé. In questo caso le metamorfosi rappresentano non come esse appaiono nella realtà oggettiva, piuttosto come vogliono essere/apparire. La volontà è infatti, un sentimento necessario per il processo di autoaffermazione: In entrambi i dipinti i volti esprimono fierezza poiché i loro sguardi puntano dritto verso l’osservatore, vogliono farsi guardare, forse per ghermire anche uno stato di sofferenza. Le due artiste sapevano che attraverso l’arte potevano esistere veramente, come volevano, senza paura di apparire “strane”.
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